sabato 2 giugno 2012

L'ex fonderia SALIN di Marostica



Fotografie Sergio Sartori  A.F.I. B.F.I.

http://sergioinsidepicture.blogspot.it/


"Il nome di Salin risale ai primi anni del 1800 ed era considerato molto bene per la costruzione di carri, carrette e carrozze.Mio nonno fin da bambino venne utilizzato come apprendista nella bottega di Borgo San Sebastiano in Marostica, dove parte del lavoro veniva eseguito in strada davanti alla bottega. Nel 1902, e cioe' a 15 anni, la famiglia decise di avviarlo al lavoro meccanico per cui venne inviato alle Officine Milani di Battaglia - Padova costruttore di macchine agricole. Mio nonno concordo' come compenso al lavoro il vitto e la sistemazione a dormire sotto il banco del falegname, i truccioli di legno servivano da materasso"



Il lavoro durava dall'alba fino al tramonto e d'estate anche di 18 ore, doveva lavorare anche la domenica poiche' mangiava anche la domenica.
Dopo tre anni stanco di tale trattamento si trasferi' a Conselve dove trovo' un trattamento migliore ed una cuccetta per dormire.
A Conselve costruiva macchine agricole ma soprattutto era addetto alla riparazione di caldaie a vapore e locomobili.
Tale lavoro duro' fino alla fine del 1906 quando, stanco per le continue costrizioni e sofferenze, decise di mettere la sua poca roba in un sacco e prese la via del ritorno a piedi verso casa, che distava circa 70 Km.








Al rientro in famiglia mio nonno si procuro' un trapano, una forgia, un'incudine ed una morsapoi un po' alla volta acquisto' altri attrezzi.
Come primo lavoro si dedico alla riparazione dei molini.
Nel febbraio 1907 assunse l'incarico di smontare un molino a Breganze e dopo una accurata revisione lo installo' in Austria a Strgno, fu veramente un trionfo ed il titolare gli regalo' cinque marenghi d'oro, naturalmente dopo aver pagato quanto pattuito.
Dalla fine del 1907 al 9 settembre 1909 effettuo' il serviziomilitare.
Al rientro acquisto' dalla ditta Carlo Naef di Milano un tornio da 3 metri fra le punte e una pialla da 1000x500x500 che sistemo' nella casa paterna in via San Sebastiano dedicandosi ai lavori di fabbro meccanico ed alla costruzione di attrezzi agricoli.
In seguito allo sviluppo dell'industria dei capelli di paglia, trovo' lavoro alla costruzione di impianti di trasmissione per il funzionamento delle macchine da cucire, impianti di riscaldamento a vapore e montaggio delle caldaie cornovaglia ed alla sorveglianza delle delle stesse poiche' era l'unico patentato alla conduzione.
Aumentando il lavoro nel 1910 ed avendo la necessita' di un ambiente piu' grande acquisto un appezzamento di terreno in via Pizzamano e fece costruire un capannone.
Lo spazio piu' grande gli permise la costruzione delle presse idrauliche per la formatura dei cappelli di paglia e di vari attrezzi per tale industria.
Aumento' il numero di apprendisti ed operai per un totale di circa 10 unita'.
Nel 1913 in base ad un decreto governativo dovette fare l'assicurazione per gli infortuni sul lavoro con l'Assicurazione Lomellina. Nel 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale il lavoro comincio' a scarseggiarepercio' fino alla sua chiamata alle armi nel maggio del 1915 si dedico' alla costruzione di spolette per proiettili di artiglieria. Dal 15 maggio 1915 al 1° maggio 1919 fece il servizio militare.






L'officina, requisita dai militari trasferi' le attrezzature a Rovato (Brescia) per il timore che cadessero nelle mani del nemico.
Al ritorno il lavoro era cambiato e pur mantenendo il lavoro di meccanico si dedico' alla riparazione di automobili e autocarri.
Con la ripresa della produzione dei cappelli di paglia riprese la manutenzione delle macchine da cucire ed intraprese la fusione delle forme di zinco ed alluminio sempre per la pressatura dei cappelli di paglia.
Nel 1932 si dedico' alla trasformazione di macchine per il marmo ed alla costruzione di qualche macchina nuova, lo stesso fece con le macchine per la lana di legno.
Nel 1943 l'officina fu requisita dal comando tedesco e costretta a lavorare alla riparazione delle macchine dell'esercito fino all'aprile 1945.
il 24 aprile 1945 il figlio, (mio padre) ritornò dalla prigionia. La ripresa del lavoro fu molto difficile perche' con la guerra gli animi erano molto esasperati e tutti avevano diritti ma nessun dovere. Parecchi lavori furono eseguiti ma non pagati. In quel periodo furono fatti molti progetti in cerca di un lavoro piu' tranquillo. In prigionia lavorò in fonderia e pur essendo un lavoro pesante, molto faticoso, caldo d'estate e freddo d'inverno ne tornò affascinato. Nel settembre del 1945 si recò al distretto militare di Vicenza dove venne liquidato di tutti gli emolumenti di prigionia cioe' dall'8 settembre 1943 al maggio del 1945. Con i soldi ricevuti andò al bivio di Porta S. Felice a Vicenza e con mezzi di fortuna mi diresse a Milano. seguente arrivo a Milano, si recò da un vecchio amico del padre ex fornitore di prodotti per fonderia ai tempi che fondeva le forme di alluminio. L'incontro fu meraviglioso e dopo i soliti convenevoli spiegò il desiderio di acquistare un forno fusorio per la fusione della ghisa. Questo lo indirizzo' da un suo amico alla periferia di Milano presso la ditta Invictus. Nelle prime ore del pomeriggio rintracciò la Ditta e spiegò le sue esigenze al titolare. Il titolare della Ditta lo aiuto' molto, le fece vedere le varie possibilita' e dietro i suoi consigli dopo circa due ore stese il contratto di un forno al prezzo di £. 50.000, diede un acconto di £. 20.000 ed il resto alla consegna, cioe' dopo 45 giorni. Il prezzo non poteva superare £. 60.000 in seguito ai continui aumenti dei costi dell'immediato dopo guerra. A fine luglio con un camion della ditta Orso di Nove si recò a Milano ( camion funzionante con gasometro a legna ), caricò il cubilot pagò £. 40.000 poiche' nei due mesi il costo fu notevolmente aumentato. Dopo pochi giorni riuscì a trovare un operaio ex dipendente della ditta Laverda di Breganze pratico di fonderia e veramente capace. Con lo stesso iniziò ad installare il forno vicino ad un capannone in legno fatto nel 1916 dai soldati italiani. Il capannone fu adibito alla posa di eventuali staffe per la fusione. Nel mese di dicembre 1945 fu terminato il montaggio del cubilot. Le prime fusioni in marzo 1946 furono delle vere avventure. Dalle prime fusioni di 200-300 Kg, visti i buoni risultati, la produzione aumento' in modo considerevole. Dalla fusione di incastellature per presse chein vari pezzi che venivano uniti con bulloni, si passo' a fondere delle levigatrici per marmo. Le colonne che pesavano circa 400 Kg venivano fatte in due pezzi ed imbullonate a meta'. Per alcuni anni l'attivita' prosegui' con riparazioni di macchine per il legno, trasformazioni di centraline idrauliche per presse, riparazioni e modifiche di macchine per il marmo e produzione di piccoli presse ed altre attrezzature. Con la ripresa economica degli anni cinquanta inizio' la vera progettazione e la costruzione dei modelli in legno e la successiva fusione dei pezzi. La vera produzione inizio' nel 1953 E FU UN CONTINUO SUCCESSO. Con la vendita in Italia e poi in tutto il mondo nel 1992 raggiungemmo la vendita di circa 10.000 macchine; con la chiusura del reparto fonderia, abbiamo iniziato la costruzione delle strutture in carpenteria di acciaio iniziando la collaborazone con varie strutture produttive della nostra regione, Unendo le singole sinergie al fine di otternere un prodotto di altissima qualità con costi estremamente competitivi. I nostri patners infatti sono stati selezionati nel corso degli anni in base alle oro professionalità. I risultati e l'affidabilità dei nostri prodotti hanno confermato la validità delle nostre scelte. ."  
racconto tratto dal sito  www.stamac.it. 








































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sabato 26 maggio 2012

Gabriela, Viso di Donna di Sergio Sartori afi/bfi



Demis Roussos    -  Viso Di Donna lyrics

C’è un viso di donna
che sempre accompagna un uomo che va.
La vita di un uomo
che poi è la storia dei sogni che fa.
Amori mancati,
amori sbagliati,
lasciati annegar.
E ognuno ha un profilo,
di ognuno conosco il viso che ha.
C’è un viso di donna
che sempre accompagna un uomo che va.
Un uomo che quando
rimane da solo, più ancora lo sa.
Lo sa che il silenzio
si paga nel tempo, lo impara da sé.
Per questo non scorda
quel viso di donna, il più bello che c’è.
C’è un viso di donna
che sempre accompagna un uomo che va.
La vita di un uomo
che poi è la storia dei sogni che fa.
Ed io se potessi rifare la mia,
lo sai che farei.
Vorrei nascere vecchio
e morire bambino,
e questo vorrei.
E ancor se potessi
strappare alla vita un attimo in più.
Vorrei fra le mani
un viso di donna
ma quello che hai tu.

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 Photo Sergio Sartori    A.F.I.   B.F.I.

sabato 12 maggio 2012

COLLECTIVE G.F.E. Forum
 2 nd Exhibition industrial archeology and urban exploration
"The desire to discover, the urge to move, to capture the flavor: three concepts that describe pictures of abandonment"

http://gfe.forumfree.it/















COLECTIVO G.F.E. foro
2 ª Exposición industrial, la arqueología y la exploración urbana
"El deseo de descubrir, la necesidad de mover, para capturar el sabor: tres conceptos que describen imágenes de abandono"
 

lunedì 16 aprile 2012

The oldest botanical garden of Alberto Parolini in Bassano del Grappa - Veneto / Italy - L’antico giardino botanico di Alberto Parolini a Bassano del Grappa - Veneto / Italy - Photo Sergio Sartori BFI AFI

“Guarda, il cancello aperto del giardino ci invita; non entriamo a fare almeno un giretto? Il giardino del Conte è famoso non solo in Lombardia e a Venezia, ma in tutta Europa, se al suo interno c’è un altro Cedro del Libano simile a quello che sta davanti a noi non è senza ragione: si chiama infatti Pinus parolinii, i semi furono portati dal Monte Ida da lui stesso….c’è anche l’odoroso ulivo cinese, ed ecco un Ginkgo biloba alto come neppure un Olmo s’è mai visto, e c’è uno Styrax, un Laurus benzoin, un Vitex agnus-castus….”.

Queste righe, che continuano con citazioni di altre piante ed grandi esclamazioni di stupore, vennero scritte nel 1856 dal poeta James Henry a conclusione del diario del viaggio da lui compiuto, incredibilmente rigorosamente a piedi, da Karlsruhe fino a Bassano del Grappa. Venne a piedi fino a questa nostra cittadina veneta espressamente per visitare il Giardino botanico creato da Alberto Parolini (1788-1867). Questa è forse la testimonianza più curiosa della grande capacità di attrattiva che questo luogo esercitava nel 1800, ma decine e decine di altre persone (viaggiatori, studiosi, regnanti ecc) vennero a Bassano per vedere le meraviglie di quello che così Filippo Barker Webb aveva lapidariamente descritto nel 1840 “il possède un des jardins de botanique les plus remarquables de L’Italie”. Il luogo, dicono le cronache, era straordinario e così lo descriveva Ottone Brentari nel 1885: “aggirandosi nel giardino, e nelle sue serre sorprendenti, pare al naturalista di trovarsi ora nelle calde regioni dell’India o del Messico, ora sulle falde delle Ande, ora nelle gelide contrade del nord”. Ragionare su un piccolo dato arido può forse far capire meglio: le tremila specie che arrivarono a contenere i suoi index seminum. Di cosa si trattava? Parolini stampava con cadenza biennale, per distribuirli in tutta Europa, gli elenchi che contenevano tutti i semi, raccolti nel proprio giardino, che era in grado di scambiare con altri collezionisti o con altre istituzioni (orti botanici, università ecc). Ebbene, provate ad immaginare che ricchezza di svariate fioriture doveva possedere (si dice fino a 8-9000 specie diverse coltivate) e che macchina organizzativa aveva saputo mettere in piedi per poter soddisfare, per chiunque lo volesse, la richiesta di alcune bustine di semi tra le 3000 specie diverse che metteva a disposizione.












Alberto Parolini morì nel 1867 e questa sua meraviglia andò in eredità alla figlia Antonietta (una seconda figlia, Elisa, sposò il grande alpinista britannico John Ball, uno dei pionieri delle Dolomiti) che continuò gelosamente a custodire e a migliorare il giardino. In quegli anni venne anche il riconoscimento che lo qualificò come Monumento nazionale. Poi, forse la morte del capogiardiniere Parisotto, forse l’età avanzata, la indussero a lasciare tutto al proprio figlio Alberto Agostinelli Parolini. Non ci sono prove certe, ma molte fonti indirette fanno ritenere che in questi anni sia avvenuta la svolta: da giardino botanico a parco signorile, con conseguente abbandono delle collezioni. Alberto Agostinelli Parolini, a sua volta, cedette in lascito il luogo al Comune di Bassano che ne divenne proprietario, dopo alcune controversie, nel 1931. Un inventario di acquisizione ci consegna un giardino ancora molto bello, ma ormai senza più nessuna delle pregiate coltivazioni che lo caratterizzavano. Il resto è storia breve e recente. Il Comune ne fece un giardino pubblico che via via andò ancor più impoverendosi nonostante le cure del fidato capogiardiniere Piero Carletti. Giostre, spettacoli e feste pompieristiche furono le nuove attrazioni al posto della bellezza e della rarità delle piante. Addirittura negli anni ’50 ne venne distrutta una parte per ricavarne un’arteria stradale. E poi ancora anni tristi, tra alti e bassi. Qualche allarme è venuto ripetutamente da gruppi di cittadini (compresa una mostra storica del club bassanese International Inner Wheel nel 1989), per alcuni anni ha operato anche una Associazione Amici del Giardino Parolini elaborando proposte ed attività, ma senza produrre negli una significativa inversione di rotta.








Oggi Il Giardino di Alberto Parolini è, come detto sopra, un giardino pubblico. E’pochissimo frequentato nel tempo libero e totalmente ignorato come possibile meta educativa e culturale. Dell’antico e incredibile patrimonio verde permangono una settantina di specie arboree diverse, fortunatamente con alcuni elementi di pregio sopravvissuti, tra specie rare altrove ed altre con individui monumentali. Fiore all’occhiello è un gruppo di esemplari del Pino che porta il nome dell’antico “padrone di casa”, il Pino paroliniano, un’entità scoperta dal Parolini sui monti della Turchia.











BIOGRAFIA



Alberto Parolini Botanico [Bassano 1788 / 1867]

Nato nel 1788 a Bassano, sin dall'età giovanile Alberto Parolini dimostrò spiccate attitudini e decisi interessi per il mondo della natura, passione del resto non nuova in famiglia.
Le opportunità offerte dal cospicuo patrimonio fondiario e l'inclinazione per la botanica manifestatasi già nel padre e ancor prima nel nonno e nello zio, gastaldi delle monache benedettine di San Girolamo in "Borgo del Lion", costituiscono gli ingredienti iniziali del ricco itinerario culturale lungo il quale si snoda la vita di Alberto Parolini, a cominciare dalla più giovane età.
A questi elementi si aggiunsero certo altri fattori importanti, come la vicinanza e la guida di Giambattista Brocchi che aveva entusiasmato il futuro naturalista di appena otto anni con la pubblicazione, avvenuta nel 1796, di un libretto intitolato "Trattato delle piante odorifere e di bella vista da coltivarsi ne' Giardini".
Orfano di madre a soli quattro anni, studiò dapprima presso il Seminario di Padova per passare poi agli studi universitari nella stessa città e, successivamente, a Pavia.
La famiglia, conosciuta come Parolin, proveniva da Rosà dove se ne trova traccia a partire dal XVI secolo e solo in seguito all'ammissione di Francesco, il padre del futuro naturalista, in seno al Consiglio cittadino acquistò titolo nobiliare e proprio con Alberto il cognome diventò Parolini.
Lo stemma della famiglia, rappresentato da un paiolo sormontato da una colomba che ha nel becco un ramoscello, sta forse a testimoniare il mestiere di costruttori di paioli, essendo "parolo" il termine dialettale da cui il nome ha origine.
E' certo, comunque, che fu grazie al commercio di olio e sale, alla partecipazione ad imprese commerciali e agli oculati investimenti immobiliari, che i Parolin accumularono capitali tanto ingenti da inserirsi tra le più antiche famiglie bassanesi, rispetto alle quali potevano in genere contare su un  trovò ad ereditare una vera fortuna in denaro, terreni e proprietà immobiliari. Allo stesso anno è databile l'incontro a Venezia con Filippo Barker Webb, un naturalista inglese al quale fu legato da un'amicizia fraterna per l'intera vita.


Negli anni immediatamente successivi ebbe inizio una serie di viaggi a scopo scientifico per l'intera Europa, con soggiorni a Londra e a Parigi città in cui poté stringere legami con i maggiori centri della cultura scientifica internazionale, tanto da risultare uno dei soci fondatori della Società geologica di Londra.
Il viaggio più esaltante dovette essere quello intrapreso nel 1819 con l'amico Webb attraverso la Grecia e l'Asia Minore, viaggio dal fascino indicibile per un uomo che alle conoscenze scientifiche univa il gusto e la curiosità nati dalla frequentazione dei testi di Omero cui gli studi universitari patavini riservavano un'attenzione particolare.
Fu proprio da questo viaggio che riportò le pigne da cui sarebbe nato il pino che porta il suo nome, il Pinus parolinii.
Se l'interesse per la botanica era sbocciato fin da giovanissimo, solo negli anni successivi al viaggio in Inghilterra del 1817 vanno datati i primi interventi nel giardino all'italiana che il padre aveva costruito e di cui è testimonianza il rilievo mappale fatto da lui stendere poco prima della morte. L'intervento, attuato secondo il gusto romantico dell'epoca che ha i suoi alfieri in Ippolito Pindemonte (Sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell'Italia), in Cesarotti, in De Visiani (Delle Benemerenze de' Veneti nella Botanica) inserisce a pieno titolo Alberto Parolini nella temperie culturale del momento e nel dibattito letterario-filosofico relativo alla tematica dei giardini e, per Bassano, ne fa il precursore del giardino romantico, all'inglese.
Al miglioramento del giardino lavorò instancabilmente, arricchendolo di specie arboree e ampliandone la caratteristica di orto botanico. Lo protesse con una cortina muraria e costruì verso le Fosse l'ingresso con il cancello lanceolato fissato a due poderose colonne di stile dorico prive di capitello, in sintonia con il "rovinismo scenografico" caratteristico del tempo. Con il 1834 si può considerare ultimata la sistemazione dello spazio, diviso in giardino romantico e in "Hortus botanicus", che acquisterà straordinaria notorietà e sarà visitato non solo dagli studiosi europei, ma da personalità del calibro dell'Imperatore d'Austria Francesco I.
Dei sei figli avuti dalla moglie Giulia Londonio, sposata quando il Parolini aveva quarantasette anni, sopravvissero solo Elisa ed Antonietta che andarono spose rispettivamente al celebre naturalista irlandese John Ball e al nobile bassanese Paolo Agostinelli.
Dopo la morte del naturalista avvenuta nel 1867, fu la figlia Antonietta a proseguire con grande passione ed intelligenza l'attività del padre, lasciando poi erede universale il figlio Alberto Agostinelli che nel 1904 ottenne l'autorizzazione ad aggiungere il cognome del celebre nonno.
Alla sua morte, avvenuta nel 1927, il complesso botanico e le case passarono al Comune di Bassano secondo la volontà testamentaria, dopo una lunga disputa con i famigliari.
Dell'intensa attività in campo botanico di Alberto Parolini è opportuno elencare, a chiusura di questa sintetica presentazione, almeno i principali parchi nati dalla sua instancabile opera.
Due, uno ad Oliero e uno a sud dell'ex palazzo Polidoro confinante con l'Istituto don Cremona, sono oggi scomparsi; altri due, il Giardino Parolini e il parco della ex villa Diedo, a Cusinati, pur con trasformazioni e interventi dannosi o inopportuni, costituiscono ancora una valida testimonianza di un aspetto rilevante della cultura e della storia del nostro paese.

Non è forse inopportuno ribadire che tutti, pubblici amministratori e privati cittadini, dovrebbero essere tenuti a fare proprie le indicazioni contenute nella "Carta dei Giardini storici", conosciuta anche come "Carta di Firenze", che considera ogni giardino storico un vero e proprio monumento vegetale che, presentando un interesse pubblico dal punto di vista culturale e artistico, va conservato e tutelato nel pieno rispetto delle regole elencate nel documento stesso.
                                                                                                                         Massimo Caneva








"Mira, la puerta abierta del jardín nos invita, no llegar a hacer por lo menos un paseo? El jardín del conde es famoso no sólo en Lombardía y Venecia, sino en toda Europa, aunque en ella no hay otra cedro del Líbano, similar a lo que está delante de nosotros no sin razón: se llama Pinus hecho de parolinii, el semillas fueron traídas desde el monte Ida por él mismo .... También hay chinos con tintes de oliva, y aquí es un Ginkgo biloba, incluso tan alto como un olmo ha visto nunca, y hay una Styrax, una benzoina Laurus, un vitex agnus-castus .... ".


Estas líneas, que continúan con citas de otras plantas y grandes gritos de asombro fueron escritas en 1856 por el poeta Henry James al final del diario del viaje que hizo, muy a pie, de Karlsruhe a Bassano del Grappa. Estaba caminando a esto, nuestra ciudad de Venecia específicamente para visitar el Jardín Botánico creado por Alberto Parolini (1788-1867). Este es quizás el testimonio más curiosidad por la gran capacidad de atracción que ejerce este lugar en 1800, pero docenas y docenas de otras personas (viajeros, eruditos, gobernantes, etc) llegaron a Bassano para ver las maravillas de lo que Philip Barker Webb tenía tan sucintamente en 1840 describió el "posee un des Jardins de les plus remarquables Botánico de L'Italie". El lugar, dicen las crónicas, fue extraordinario y así lo describió en 1885 Latón Brentari: "deambulando por el jardín, y los invernaderos en su naturalista increíble, parece estar ahora en las regiones cálidas de la India o México, ahora en las estribaciones de los Andes , ahora en las heladas tierras del norte ". El razonamiento en un islote como quizás se puede entender mejor: tres mil especies que llegaron a contener su Seminum índice. ¿Qué era? Parolini impresa cada dos años, para su distribución en toda Europa, las listas que figuran todas las semillas, recogidas en su jardín, que era capaz de intercambiar con otros coleccionistas u otras instituciones (jardines botánicos, universidades, etc.) Bueno, trate de imaginar la riqueza de las diversas floraciones tenía que tener (lo dice hasta 8-9000 especies cultivadas) y la máquina organizativa había sido capaz de poner en su lugar para reunirse, para cualquier persona que lo quería, la llamada por algunos paquetes de semillas entre los las 3000 especies diferentes que se ofrecen.




Mostra Fotografica da "ailis" Marostica